Desiderio di universo - Intervista a Bruna Milani

Lo stile originale di un’artista che dipinge prevalentemente in acquerello, non disdegnando l’acrilico e la tempera, ricorrendo alla pastosità del colore a olio se richiesto dall’ispirazione.

Il successo di Bruna Milani bruna milanicome ‘acquerellista’ configura le sue opere come il ‘diario’ di una necessità pulsionale volutamente non raffrenata, in cui i colori e le forme rimandano a una realtà in movimento, a un universo primigenio e magmatico, popolato di presenze surreali, di cellule e sinapsi impazzite, di frammenti che si dispongono sulla carta, sulla tela, sul cartoncino, sul legno derivato, l’osb compresso, dove il colore si sovrappone alle nervature pressate come schegge di meteoriti, o come elementi ammutoliti e stupefatti negli abissi marini. Il colore risulta quasi ‘lanciato’ negli spazzi siderali di galassie insondabili, o conosciute solamente al ‘grande scrutatore’ dell’universo. Il suo è un messaggio affidato al cosmo, che prima o poi verrà recepito da forme di vita rappresentate anche nelle sue opere, guidando l’osservatore verso le reminiscenze automatiche di un movimento circolare armonico, in cui una serie di volumi si attirano reciprocamente narrando la vitalità e l’andamento delle forme tramite l’utilizzo di una gamma di colori classici, che ricordano la pittura del Rinascimento. Nel rispetto della modernità, Bruna Milani strizza l’occhio al passato, esaltandolo. La pittrice romana ha uno stile proprio, riconoscibile ormai nella corrente artistica mondiale, pur essendo originale nella sapiente pennellata, poiché la sua metodologia è radicata ma sotto una forma innovativa. Ed è qui che l’arte tiene testa alla vita lavorativa: quasi la predomina, lasciandola emergere al di sopra di ogni sua attività, a tal punto che la venatura artistica è riconoscibile in ogni suo status. L’uso di materiali diversi e nuovi, sulle cui superfici la Milani realizza le proprie opere, ha fatto sì che quest’artista giungesse in contatto con l’Oriented Strand Board (Osb): ovvero, il pannello in legno costituito da scaglie orientate, da lamelle di legno a strati incollati, pressati in modo da rendere compatto il pannello stesso su cui poter dipingere. Proprio in questo mese di febbraio 2018, presso la Galleria d’Arte dell’Istituto portoghese di Sant’Antonio in Roma, le sue opere sono in esposizione nella mostra 'Come gioielli in cielo', con la partecipazione del fotografo Marco Lanciani e della pittrice Alessandra Cesaroni. “Una passeggiata tra stelle e mito, immaginando di ricongiungersi con Qualcosa di superiore. Un’atmosfera fantasiosa ed ovattata che ci ricordi la nostra origine celeste. Proveniamo tutti dalle stelle e lì ritorneremo”: queste le parole con cui l’artista definisce il percorso illustrativo esposto. La mostra, inaugurata e presentata dal Rettore dell’Istituto Portoghese, monsignor Agostinho da Costa Borges, sotto l’alto patrocinio di S. E. l’Ambasciatore del Portogallo presso la Santa Sede, António de Almeida Lima, si protrarrà fino al 31 marzo 2018. In essa, sono esposti i suoi più recenti 'acquerelli', in cui galassie e stelle vengono presentati con colori accesi, nell’intento di riflettere la maestosità dell’universo da cui la pittrice trae ispirazione. Insieme a questi lavori, le fotografie 'in movimento' di Marco Lanciani e i pastelli con cui Alessandra Cesaroni evoca e presenta la 'Donna nella mitologia'. Mettiamo dunque in peimo piano questa’artista.

Bruna Milani vive e lavora a Roma, ma proviene dall’antica famiglia di orefici dei Castellani in cui lo storico insegnamento raffinato di Antonio Benci, detto il Pollaiolo, orafo, scultore, pittore e incisore (Firenze 1431 circa - Roma 1498), ha prestigiosamente forgiato la cultura dell’arte orafa e il gusto raffinato della famiglia Milani, indirizzando la giovane artista verso guizzi originali e sublimi. Il Pollaiolo, dal 1484 a Roma, insieme al fratello Piero realizza l’opera 'il Monumento a Papa Sisto IV', che oggi si trova nella basilica Vaticana. È il papa di ponte Sisto, mentre nel museo del Tesoro è esposta la sepoltura di Papa Innocenzo VIII, cesello dimostrativo dell’arte orafa. Artista colta e raffinata, la Milani ha fin da subito respirato l’arte tra i membri della sua famiglia di discendenza. Dopo la maturità classica, il suo temperamento anticonvenzionale l’ha spinta ad approfondire la sua naturale propensione artistica e ad assecondare l’innata predisposizione alla creatività. La passione per la tecnica dell’acquarello è un qualcosa, per lei, di viscerale, intimo, intrinseco, che studia ed esprime in modo proprio, reinterpretando una pratica composta, per antonomasia, di tinte delicate e quasi impalpabili.Abbiamo, incontrato l’acquarellista romana nel suo studio a ridosso delle mura rinascimentali di Trastevere.

Bruna Milani, qual è stato il suo primo regalo ricevuto da bambina?
“Una scatola di acquarelli”.

E come è avvenuta questa sua introduzione ed evoluzione in un mondo artistico così personale e colorato, fatto di mille sfumature?
“Sinceramente, non ho avuto il piacere di frequentare i miei avi, mia nonna, mio fratello e mio zio: uno di loro, purtroppo, è morto giovane e non l’ho conosciuto; l’altro quando ero molto piccola. Quindi, non ho appreso nulla da loro: sono solo vissuta in un clima artistico, dove si respirava il gusto della perfezione. Erano tutti bravi a disegnare dalla parte di mio padre, Milani. Io, da bambina, ho sviluppato questa voglia di disegnare, di dipingere sempre ad acquerello. E i colori sono quelli della mia interiorità: non me li ha mai imposti nessuno, fanno proprio parte della mia interiorità”.

I primi soggetti che tu ha fissato sulla carta o sulla tela, quali sono stati?“Ho sempre dipinto Venezia, la terra delle origini. È una grande fonte d’ispirazione, la città nobile sull’acqua. Ho iniziato a dipingere verso i sette, otto anni, prestissimo. E i soggetti erano paesaggi, le brume, Venezia molto spesso, perché avevo una mamma veneta, di Schio in provincia di Vicenza. Sempre soggetti tipo la chiesa della Salute, il Canal Grande, le gondole, il ponte di Rialto, i riflessi, l’acqua dei canali. In seguito, all’improvviso è arriato il periodo del fuoco, dei vulcani in eruzione, delle scie di fuoco verso il mare e dell’Etna. Poi, sono passata e sono rimasta, per molto tempo, sull’aria: galassie, stelle, pianeti e ho finito con l’approfondire lo studio dell’astrologia che mi è sempre piaciuta, per cui ho continuato su questa via. Infatti, la mia ultima mostra è sul cielo. La prossima, invece, sarà di nuovo sull’acqua: l’elemento primordiale, che mi da e ci da vita”.

Il colore che preferisce e questo suo rapporto particolare con il blu: ce ne vuole parlare?
“Vado a periodi con i colori. Comunque, in tutti i miei quadri c’è sempre il rosso: sempre. Per il blu, preferisco principalmente il turchese perché è più limpido, più allegro e trasparente, meno notturno. E il lapislazzulo con le pagliuzze d’oro nell’interno m’infonde sicurezza”.

Qual è la tecnica nella quale più si riconosce? E quali sono le basi da lei scelte per le sue realizzazioni?
“Principalmente, mi riconosco nell’acquerello. Sì, è vero, uso in questo periodo l’acrilico su delle tavolette di legno particolari: le tavole osb, che ricoprono i ponteggi e che preparo con la tintura bianca, riempiendole con tutti i colori acrilici che voglio. Come carta di base per acquerello preferisco, invece, le carte spesse, quelle da 300 e da 600 grammi. Non sono una ‘acquerellista soft’: sono piuttosto violenta nel mio acquerello e uso molta acqua. In questo periodo, preferisco gli effetti particolari che il colore acrilico mi offre, mettendolo sopra le tavolette osb”.

Nella storia della pittura ad acqua, quale pittore preferisce?
“Onorato Carlandi (pittore acquarellista dei venticinque della campagna romana) della famiglia Castellani: per me è il migliore, il mio preferito. Nei suoi acquerelli mi rispecchio di più. Anche lui proveniva da una famiglia di orefici da parte della madre. Nacque a Roma nel 1848 e qui a Roma rimase per sempre, fino al 1939. Ha dei colori più vivaci degli altri. Poi c’è Roesler Franz, che pur essendo fantastico, uno dei migliori e più prolifici vedutisti e acquerellisti italiani, per i miei gusti è troppo ‘soft’, troppo descrittivo, da ‘cartolina’, insomma. Infine, amo molto gli acquerellisti contemporanei, come Pedro Cano, che ho avuto il piacere di conoscere personalmente e di cui apprezzo le sue visioni ectoplasmatiche. Il suo acquerello è molto intenso, pur essendo ‘soft’ e descrittivo”.

Il rapporto di Bruna Milani con la luce? E una critica all’opera del Caravaggio?
“Se non ci fosse la luce, non ci sarebbero nemmeno le ombre. Quindi, tutto ciò che dipingo deve emanare luce. Il mio impegno nella pittura è teso alla ricerca di quell’emanazione di luce interiore che trasmigro nelle mie pitture. L’opera del Caravaggio è la perfezione assoluta, che neanche le tecniche attuali riescono a imitare, se non la fotografia ‘alta’, professionale, che riproduce l’opera del Caravaggio con estrema attenzione nel rispetto dell’alta definizione. La luce, nei miei acquerelli, è concepita come l’alternanza di luce e ombre che producono un effetto tridimensionale, fatto di giochi di profondità. La mia personalità si rispecchia comunque nella notte, perché è dal buio che voglio far emergere ciò che desidero, così come avviene nei quadri a tema ‘stelle’. Il mio cosmo artistico, per me, è volare nelle stelle, tra le stelle: un desiderio di universo, di ricongiungimento con il tutto, dal quale noi veniamo e nel quale torneremo. Sinceramente, il ritorno, inteso come dipartita da questa Terra, mi mette paura. Ma credo che vi sia qualcosa, dopo. Anche se i dubbi restano. La vita attuale, invece, va vissuta intensamente, come scommessa giornaliera, cercando di volgere al positivo il nostro pensiero di vita”.

Cosa consiglierebbe a un giovane che vuole dipingere?
“In questo periodo, così incerto per il nostro Paese, non è la strada giusta: gli consiglierei di intraprendere un altro lavoro. Tuttavia, gli direi anche di seguire il proprio istinto, di mettere su tela o su carta quello che prova, non di dipingere perché ha voglia di dipingere e di lasciare qualcosa: non tutti siamo portati, sinceramente. E poi, quello che trasmetti sulla carta o sulla tela dev’essere qualcosa di veramente tuo, personale, non un copiato di qualcun altro. Quindi, gli direi proprio di seguire il suo istinto, le sue emozioni interiori, per trasmettere solo quelle verità sue, proprie”.

Una riflessione sugli artisti dei gessetti, i ‘madonnari’ che spesso incontriamo per le strade di Roma: lei come li giudica?
“Mi cogliete preparatissima, perché mi fermo sempre da Amedeo, fuori le porte del Teatro Argentina e lui è bravissimo, culturalmente molto preparato. La perfezione che pone nel disegnare con i gessetti è quasi maniacale: alterna colori dando profondità e tridimensionalità da artista vero, autentico quale è lui. E se il vento o la pioggia cancella tutto, lui subito dopo fa un altro di disegno, più bello e più armonico. Sì, armonico: è il vocabolo giusto per lui, che disegna sull’asfalto del Teatro Argentina. Tutto viene cancellato per poi essere di nuovo ricostruito, come i Mandala buddisti, come la vita, come gli esseri che popolano questa terra. Certe volte, rifletto sul sassolino gettato nell’acqua di un laghetto e i suoi cerchi concentrici mi ricordano Nettuno, le soluzioni della vita che si dissolvono nel tutto”.

Bruna Milani e la sua giovinezza: quale segreto nasconde questo aspetto da eterna ragazza?
“L’amore. È l’amore per l’acqua, per l’aria, per la Terra, per il fuoco. Non è altro che amore in toto, per ogni forma di creazione e per l’arte in sé. Ogni elemento, trasposto dalla mia immaginazione su carta ed estrinsecato attraverso la purezza del colore e dei pigmenti, si lega a un tassello della mia vita. Qui nel foro romano abbiamo una delle più antiche e importanti fonti di Roma: la Fonte di Giuturna, la ninfa protettrice delle fonti. Il mito tramanda che Giuturna venne amata da Giove e che la trasformò in una fonte di eterna giovinezza, dove Giunone si bagnava riacquistando la sua giovane freschezza. Non dico che ogni mattina vado per le mie abluzioni sacre, ma ogni tre mesi una ‘capatina’ la faccio: è anche una bella passeggiata in onore della Storia. Mantenere in attività il cervello, restare nell’entusiasmo: sinceramente, penso siano questi i segreti per rimanere giovani, fino a quando l’entusiasmo delle cose da fare e l’impegno nel farle o nell’organizzarle si dissolve con il corpo, per dare una nuova vita”.

Quali sono i suoi prossimi programmi?
“Ho già il prossimo programma, che presenterò a Sperlonga, nella chiesa di Santa Maria dei Sperlonga, del XII secolo, nel centro storico. Il titolo sarà: ‘Preferisco il mare’, su tavolette. Il luogo lo gestirò in modo più divertente e dinamico, come lo sono le onde di questo immenso mare che è la nostra esistenza”.

I quattro elementi fondamentali e il tuo quadro preferito?
“Sì, come dicevamo all’inizio: mi sono occupata dell’aria, dell’acqua e del fuoco, ma della Terra rappresento soprattutto i fiori. In particolare, le peonie. Forse, perché non riesco nel mio giardino a coltivarle facilmente. Il mio quadro preferito e pieno di colori è multicolore. E, comunque, è la ‘fuga di stelle’ verso chissà cosa. Ed è qui la forza del tempo”.

GIUSEPPE LORIN

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